Il mio benvenuto al terzo numero della newsletter di Quattro Bit: rispetto alla settimana scorsa si sono aggiunte altre quattro persone e sono molto contento di questo nuovo incremento, vuol dire che stiamo andando nella direzione giusta.
Uno dei principali obiettivi che mi ero posto sin dall’inizio, organizzando la struttura del mio libro sulla storia dei videogiochi in Italia, era quello di stilare una bibliografia approfondita su quanto fosse stato scritto a riguardo tra la metà degli anni Settanta e il decennio successivo, digitalizzando tutto questo materiale per una consultazione più rapida.
Decisi poi di condividere coi lettori di Quattro Bit una parte di queste fonti, limitandomi ovviamente alla diffusione (per ovvi motivi di copyright) di quanto già disponibile negli archivi online in una forma più o meno organizzata. È in questo senso che creai allora la categoria “Rassegna stampa”, che voglio riprendere adesso, per presentare articoli tratti da quotidiani non specializzati nell’argomento videogiochi, ma che riportassero notizie utili sull’evoluzione di questo tema nel nostro Paese.
So bene che all’interno dei social network c’è la divertita abitudine di condividere e commentare questo tipo di frammenti per “sentirsi intelligenti” (!) e prendere in giro il giornalista di turno per qualche strafalcione di troppo (dovuto principalmente alla scarsità di informazioni di prima mano), oppure per l’uso di una terminologia ormai obsoleta che, riletta molti anni dopo, sembra suonare errata.
Un esempio su tutti: anche nell’articolo che esamineremo adesso c’è il ricorso al francese consolle per definire ciò che conosciamo da molti anni come console per videogiochi: allora non si trattava affatto un errore, dato che il termine era mutuato dalle riviste e dei libri che descrivevano le "consolle di comando” coi bottoni e le levette degli ingombranti computer mainframe, in uso sin dagli anni Sessanta/Settanta. E tra l’altro, nell’82-83, consolle non era neppure il termine più comune, dato che si utilizzava altrettanto spesso “base per videogiochi”.
Come curiosità terminologica, sapete qual è stata la prima occasione in cui ci si è interrogati sull’effettiva correttezza d’uso di questo termine? Molto probabilmente sul primo numero della rivista Computer Games, curata da Aldo Grasso, solo nell’aprile del 1984:
Il suo primo consiglio è stato di scegliere bene, dopo aver valutato attentamente ogni possibilità tra le tante sul mercato, la cosiddetta console, base e punto di partenza di tutti i giochi elettronici. «Papà, è un termine americano e si scrive con una “elle” sola». È vero, ha ragione lui, il mio tentativo di far valere le mie conoscenze scolastiche di francese è fuori luogo. L’originale “consolle” che in Francia e forse da qualche mobiliere nostrano indica una graziosa mensolina, non ha nulla a che vedere con la versione storpiata dagli americani per definire un centro di controllo elettronico.
Tornando però al tema principale dell’articolo, questo va inserito certamente nel contesto relativo al panico morale che i videogiochi hanno scatenato al loro arrivo, così come è sempre accaduto a ogni forma di novità, tecnologica o meno.
I meccanismi di diffusione delle varie forme di moral panic erano già stati codificati negli anni Settanta dal sociologo Stanley Cohen, con fasi che andavano dalla semplificazione simbolica della teorica minaccia all’ordine costituito, all’amplificazione del fenomeno da parte dei media, fino alle risposte (o tentativi di risposte) da parte della politica e le autorità morali, spesso in chiave repressiva. Questo schema si può applicare perfettamente anche a ciò che accadde in Italia nei confronti dei primi videogiochi.
In questo articolo presentato su Tutto Scienze, il supplemento scientifico de La Stampa, Elvezio Petrozzi (che molti ricorderanno come collaboratore della rivista MC Microcomputer) si interroga se sia giusto regalare ai figli un videogioco o di un computer per le festività
Il testo di Petrozzi usciva nel periodo natalizio del 1983 e può essere confrontato con un altro articolo che analizzammo qualche anno fa e che riportava invece l’opinione del professore di informatica Giovan Battista Gerace, commenti che sono molto contento siano stati ripresi anche dal portale Italian Tech l’anno scorso per una più ampia diffusione.
Come sempre, riporto l’articolo integrale in calce all’immagine della fonte originale, aggiungendo un paio di commenti all’interno per chiarire dei passaggi.
Gli esperti del mercato elettronico dicono che questo sarà il Natale dei videogiochi, il prossimo sarà il Natale dei personal computer. Intanto, in attesa di verificare la previsione, si affacciano due domande: che effetto hanno i videogiochi sull'intelligenza del giocatore? E di conseguenza: con quale criterio scegliere e dosare i videogiochi? Proviamo a rispondere a questi interrogativi, che sono poi le due facce di uno stesso problema.
Incominciamo con una citazione: «I videogiochi non sono in grado di aumentare le capacità intellettive di chi li pratica, ma svolgono, nei confronti dell'intelligenza, la stessa funzione degli attrezzi ginnici rispetto ai muscoli». Sono parole di Robert Olton, studioso di problemi connessi con lo sviluppo dell'intelligenza e attuale responsabile del settore videogiochi educativi dell'Atari.
Ovviamente questa non è l'unica testimonianza a favore della pratica dei videogames: recentemente si è svolto all'Università di Harvard un convegno sul tema "Videogiochi e sviluppo umano" e il ritornello è stato praticamente sempre lo stesso. In particolare si è messo in evidenza come l'uso dei videogiochi sviluppi la capacità di pensare in maniera "non-lineare" imponendo un comportamento conseguente alla simultanea considerazione di più dati provenienti da stimoli differenti: visivi, auditivi, mnemonici.
Penso che Petrozzi avesse senz’altro letto l’approfondita trattazione del convegno di Harvard fatta dalla rivista Videogiochi giusto un paio di mesi prima del suo testo, cioè nell’ottobre dell’83, articolo che ancora oggi è una delle fonti principali sull’argomento in mancanza del materiale originale delle conferenze. In particolare c’è anche un’interessante e rara intervista al Professor Robert Olton, scomparso nel 2014.
Avevo digitalizzato questo articolo una decina di anni fa ed è ancora disponibile a questo link. Il convegno è stato uno dei momenti fondamentali per lo studio del videogioco dal punto di vista accademico: se siete interessati a un approfondimento su questo specifico tema, segnalatelo nei commenti.
È evidente che come tutti gli abusi, anche una pratica scriteriata dei videogames rischia di arrecare seri danni al giocatore incallito ma, contrariamente a quanto si suppone, non sono né la vista né le tasche, pur seriamente provate, a subire i guasti maggiori: è il sistema nervoso, sollecitato da tempi di risposta molto al di sopra delle capacità umane, a pagare il più pesante tributo al ritmo frenetico imposto da un videogame, anche se di media complessità.
A questo punto, per un genitore moderno, oltreché economicamente all'altezza, il consiglio che affiora sembra essere: «Videogiochi, sia pure con misura!».
Non perdiamo però di vista la tendenza del mercato mondiale: i videogiochi registrano una continua flessione percentuale rispetto ai personal e home computer. Né le stime per il futuro, anche immediato, sembrano smentire questa tendenza.
Purtroppo l’articolo non segnala esplicitamente la fonte a cui si riferisce il grafico, che mostra chiaramente la tendenza all’aumento d’interesse nei confronti degli home computer rispetto alle console per videogiochi, sia negli Stati Uniti sia in Italia. A dire il vero non si capisce neanche se le cifre parlino di denaro speso, di unità vendute o altro ancora. In mancanza di riferimenti precisi, possiamo quindi conservare questi istogrammi solo come una curiosità storica.
I motivi della trasformazione della domanda sono molteplici e vanno ricercati in buona parte nelle stesse motivazioni a sostegno dell'uso dei videogiochi. Infatti, se utilizzare un videogioco può significare un miglioramento dell'attitudine a gestire simultaneamente più segnali, è facile immaginare quali effetti positivi possa avere l'attività di ideazione e programmazione della fonte stessa dei segnali: il videogioco.
A queste considerazioni va aggiunta ovviamente la diversa qualità della gratificazione che riceve l'utente dei due prodotti: vi può essere grande soddisfazione nello stabilire un nuovo record a Pac-Man o a Space Invaders, ma enormemente più gratificante veder girare sul video il proprio progetto grafico.
Allora il genitore deve pensare: «Niente videogiochi! Compro un personal computer!»?
Naturalmente la vera scelta è condizionata non dalla qualità, ottima in entrambi i casi, né dal prezzo, giacché i due prodotti sono ormai allo stesso livello di costo, ma dall'età del destinatario.
Per bambini al di sotto dei 10/12 anni, se proprio si vuol pensare a un regalo di questo tipo, sarà adatto un videogioco, meglio se corredato da alcuni videogames didattici: per ragazzi più grandicelli è sicuramente da consigliare l'acquisto di un piccolo computer che, pur capace di fungere da consolle per videogiochi, è in grado di familiarizzare il giovane utente con i primi rudimenti della programmazione, disciplina che tra qualche anno sarà indispensabile conoscere quasi quanto oggi lo è il saper leggere e scrivere.
Nell'eventualità che l'acquisto di un videogioco appaia come l'unico regalo concepibile, è opportuno optare per quelle consolle, peraltro sempre più numerose sul mercato, che prevedano un'espansione a livello di tastiera e che quindi possano trasformarsi con piccoli, successivi investimenti, in veri e propri computer.
Non esiste praticamente alcuni rischio di trauma o di shock nei videogiochi. L'unica inquietudine può derivare dalla preoccupazione di veder allargare il "gap generazionale" con l'aggiunta di un nuovo motivo di approfondimento del solco tra genitori e figli.
Il vero consiglio conclusivo è dunque questo: «Cari genitori, non vergognatevi di prendere in mano i joysticks per manovrare le astronavi contro gli alieni, non abbiate timore di sedervi davanti alla tastiera di un computer per conquistare una seconda alfabetizzazione. Sono cose che faranno bene ai vostri riflessi di impiegati sedentari, alla vostra cultura di uomini moderni, ma soprattutto tutto ciò farà bene al rapporto con i vostri figli.»
Con la fine dell’articolo si conclude anche questo terzo numero della newsletter, che è stato inviato a 74 (+4) persone. La “cifra tonda” è un miraggio sempre meno lontano, condividete questo articolo perché ogni nuovo lettore è importante! A presto!