Sta per iniziare il ventinovesimo numero (vol. 3, n. 5) di Quattro Bit, la newsletter che si occupa di ricostruire, frammento dopo frammento, la storia dei videogiochi in Italia. In questa occasione continueremo il nostro percorso di avvicinamento ai concetti di “avventura” e di gioco di ruolo su computer, presentando l’arrivo di Dungeons & Dragons nella sua edizione italiana, attraverso un certo numero di articoli d’epoca.
Durante i primi anni Ottanta Il nome di Dungeons & Dragons, per certi videogiocatori, era senz’altro più noto della sua controparte cartacea, almeno nella sua versione “Advanced”: è infatti del 1983 la campagna pubblicitaria italiana per il gioco relativo al Mattel Intellivision. Riproduco in calce una doppia pagina illustrata piuttosto rara che, sebbene non sia riferita a un gioco di ruolo vero e proprio, attingeva evidentemente allo stesso tipo di immaginario simbolico.
Già che ci sono, introduco subito anche il secondo “fotoquiz”, dato che questa illustrazione cela anche un piccolo enigma: uno dei mostri presenti è infatti palesemente ispirato alla copertina di un famoso disco di rock progressivo, sapete dire quale?
Digressioni videoludiche a parte, una delle primissime citazioni sui quotidiani relative a D&D in quanto tale apparve in uno speciale di Stampa Sera a cura di Emio Donaggio a fine 1982. Da una parte, secondo questo articolo, risultavano ancora i videogiochi a dominare il tempo libero:
(...) la televisione (...) alletta con i video-giochi quei video-dipendenti irrimediabilmente intossicati. Dai primi sondaggi natalizi, gli intossicati risultano tantissimi e sanno trovare nel tambureggiare dei programmi spazi vuoti da riempire «abbattendo con i laser i 32 bersagli mobili della Space Armada che li sta invadendo», oppure massacrando a colpi di marchingegni dai più disparati e costosi sospiri e suoni elettronici (da 300 mila lire in su per la console di comando, più dalle 50 mila in su per ogni gioco) quei polipetti alieni protagonisti con asteroidi, astronavi e felloni galattici delle varie Astrosmash o Space Battle a disposizione in inesauribili variazioni tutte riproducibili ovviamente sul tv-color.
Ma dall’altra:
(...) per chi vuole volare sulla groppa di un drago a caccia di antiche avventure, non c'è che l'imbarazzo della scelta, perché l'ambiguo mostro buttafuoco variamente illustrato fa da guida a copertine dai titoli ostici come The Mystic Wood (il bosco incantato), Dungeons and Dragons (in tre versioni) e The Sorcerer's Cave (L'antro dello stregone).
D&D viene quindi accomunato in questo caso ai due giochi da tavolo fantasy di Terence Peter Donnelly (1978 e 1980) che, tra l’altro, mostrano evidenti analogie/ispirazioni con la creazione dei dungeon nell’AD&D per Intellivision che abbiamo mostrato all’inizio. Dopo queste sporadiche citazioni, fu solo grazie agli approfondimenti di Giampaolo Dossena su Tuttolibri che D&D ricevette nel 1983 una vera e propria spiegazione approfondita.
D & D sta per "Dungeons and Dragons". Dungeon vuol dire "segreta", s'intende tenebrosa, d'un castello, ma può essere un sotterraneo qualsiasi, purché tenebroso. Dragon non vuol dire "dragone" bensì "drago". "Dungeons and Dragons" dunque allude a ingredienti di storie fantastiche, medievaleggianti. Tutta la forza del marchio sta nell'allitterazione. Altri giochi della stessa famiglia hanno nomi allitteranti: Worlds of Wonder, Call of Cthulhu, Villains and Vigilantes, Tunnels and Trolls, Fighting Fantasy, Man Myth and Magic, Pirates and Plunder.
D & D è prodotto dalla TSR Hobbies Inc. "TSR" sta per "Tactical Studies Rules". Indirizzo P.O. Box 756, Lake Geneva, Wisconsin 53147, Usa. Fondatore della TSR e inventore di D & D un signore che risponde al bel nome di Gary Gygax (altra allitterazione).
D & D è sul mercato Usa dal 1974. Alcuni l'hanno descritto come capostipite dei "fantasy games", intendendo per "fantasy games" una sottospecie di "war games" ambientati non in epoca napoleonica, contemporanea ecc. bensì nel mondo medievaleggiante che dicevamo. Il riferimento a Tolkien è obbligatorio e appropriato. In alcuni giochi venuti sulla scia di D & D il riferimento al Signore degli Anelli è esplicito: "War of the Ring" (la guerra dell'Anello) è prodotto dalla Spi su licenza della Tolkien Enterprise. Ma la "fantasy" è un mondo senza confini: si considerano ispirati direttamente a D & D, indirettamente a Tolkien, film come I predatori dell'Arca perduta e Conan il Barbaro.
D & D appartiene tematicamente alla famiglia dei "fantasy games": come struttura ha poco a che vedere coi giochi di simulazione strategica (siano "war games" in generale, siano "fantasy games" in particolare).
D & D non è un gioco di simulazione strategica, bensì un RPG. Quest'ultima sigla sta per "Role-Playing Games" che si traduce "giochi di ruolo". Una definizione di RPG può essere questa: giochi in cui l'attrezzatura è ridotta al minimo e le regole stesse sono elastiche. Stando all'esempio di D & D, un capogioco fornisce indicazioni sommarie di situazioni romanzesche: un ambiente (sotterraneo), uno scopo (liberare una principessa, trovare un tesoro), vari pericoli (draghi, orchi, streghe e simili). Può disegnare una mappa ("board" o tavoliere).
I giocatori generalmente sono quattro e ciascuno si sceglie un "ruolo" o una "maschera" (guerriero, mago, sapiente, ladro). Può avere un segnaposto-statuina ("figurine"). Si gioca con spirito di collaborazione contro il destino. Si accumulano "punti di esperienza", raggiungendo "livelli di esperienza". Si inventano soluzioni, si affrontano battaglie e duelli, ci si sottomette a prove, giudizi di Dio, ordalie, in cui ha un certo peso il punto di partenza, ha un certo peso il "livello di esperienza", ha un certo peso il tiro dei dadi (dadi speciali, a 4, 8, 20 facce) ma ha peso determinante la decisione del capogioco. Senz'ombra di intenzione blasfema, il capogioco alcuni lo chiamano Master (Maestro), altri God (Dio). Non ci sono limiti di tempo. Una partita può durare due ore o due anni.
Buone informazioni si trovano in un libro di Ian Livingstone intitolato Dicing with Dragons (letteralmente "giocare a dadi coi draghi", ma ancora una volta è l'allitterazione che conta), Routledge and Kegan Paul, Londra, 1982, pagg. 216, sterline 3.95.
La fortuna di D & D non è stata travolgente, agli inizi. La rivista specializzata per i cultori di D & D, "White Dwarf" (Nano bianco) ha cominciato a uscire solo nel 1977, con una tiratura di 4.000 copie. Ora è un mensile attestato sulle 20.000 copie.
In Gran Bretagna D & D si è imposto solo negli ultimi due anni. "The Times" gli ha dedicato un paginone, descrivendolo come novità rivoluzionaria nel campo dei giochi e come mania collettiva (58.000 copie vendute in Gran Bretagna nel 1982) da non prendere sottogamba nel campo del costume. Ma quando? L'11 dicembre scorso. Nel mondo veloce in cui viviamo, un gioco americano che si afferma in Gran Bretagna sei o sette anni dopo il lancio si può ben definire un gioco di fortuna non travolgente.
In Francia come va? Sembra che dovrebbe andare quest'anno. A gennaio c'è stato a Parigi il salone del giocattolo (che precede di poco quello di Milano, il quale a sua volta precede di poco quello di Norimberga) e una delle notizie che hanno colpito espositori e visitatori è stata questa: una ditta francese si è assicurata l'esclusiva per la distribuzione di D & D in Francia, impegnandosi a produrne e venderne un numero di decine di migliaia di copie, che molti hanno giudicato "pazzesco".
In Italia D & D è distribuito per ora dalla Selegiochi di Milano, che ha in catalogo anche altri "fantasy games" e "role-playing games". C'è già un RPG italiano. Si chiama "VII Legio" (latino: settima legione). È stato inventato da Marco Donadoni e viene prodotto dalla International Team di Mazzo di Rho.
Nei negozi di "giochi dei grandi" delle grandi città si trovano a prezzi variabili, sulle 40.000 lire, le scatole di D & D e le scatole del "seguito" ("Advanced D & D") senza traduzione dei testi. Ciascuno di questi testi (uno per D & D, tre per il "seguito") è una sberla di 100 cartelle dattiloscritte fitte. Chi non legge correntemente l'inglese non ce la fa. Mettersi a tradurlo è come affrontare un testo tecnico, specialistico, di 500 pagine abbondanti. Per l'esclusiva di distribuzione di D & D in Italia ci vorrà un editore librario con esperienza e strutture ben rodate, pena un pasticcio irrimediabile.
A Modena, come dicevamo, D & D ha avuto il suo primo successo bruciante e ha il battesimo del primo torneo italiano. Sarà un fuoco di paglia locale? o innescherà una reazione a catena che porti D & D a un grosso successo anche da noi?
Stiamo a vedere. Può succedere di tutto. D & D è un gioco altamente socializzante (ben visto nelle scuole elementari britanniche dai pedagogisti d'avanguardia) ma certi RPG si possono giocare in solitario. D & D è un gioco magico, antitecnologico, ma in certi RPG il Master-God può essere sostituito da un computer.
Di una cosa siamo certi: di D & D si parlerà molto. È il tipico gioco di cui parlare come di una "nuova moda" o "nuova moda culturale". Si faranno moralismi. Non c'è come i giochi, per tirare i nervi, per far saltare i nervi. Negli ultimi mesi (l'abbiamo raccontato ai lettori), abbiamo visto levate di scudi contro "Diplomacy", perché insegna a tradire gli alleati, abbiamo visto gente rispettabile che insulta chi gioca a scopone scientifico piuttosto che a scopone normale.
Contro D & D si sono già scagliati a suo tempo saggisti e cronisti che non amano Tolkien, la "fantasy" e annessi (annessi ideologici, con implicazioni politiche), lo "escapism" (gusto di evadere dalla realtà). Contro D & D si potranno scagliare coloro che (per dirla con le categorie di Caillois) amano l'alea (azzardo) e l'agon (competizione) ma non la mimicry (maschera).
Pensiamo sia vitale aver preferenze e sia igienico aver antipatie. Non abbiamo mai nascosto il nostro fastidio per chi crede di credere ai giochi "creativi". In un libro recentemente tradotto da Bompiani, Il declino dell'uomo pubblico, di Richard Sennett (pp. 261, L. 18.000) crediamo di aver trovato un modo elegante per rivoltare la frittata. La "maschera" non necessariamente si contrappone alla "competizione". La "maschera" non necessariamente comporta gioco "creativo" contrapposto al gioco "con regole". La maschera, come abbigliamento rigidamente formalizzato, serve per incontrarsi senza ferirsi.
«Per parte mia», scrive Sennett, «definirei la civiltà come l'attività che mette gli uni al riparo dagli altri e che tuttavia consente di fruire della reciproca compagnia. Portare una maschera è l'essenza della civiltà.» Portare una maschera è giocare a un RPG.
Tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984 si iniziarono a vedere anche giochi di ruolo progettati in Italia, prima I Signori del Caos e subito dopo Kata Kumbas. Per quanto riguarda I Signori del Caos in particolare:
È in distribuzione dagli ultimissimi giorni dell'anno scorso nei maggiori negozi di "giochi dei grandi" il primo RPG (Role Playing Games, o Giochi di ruolo) italiano: I Signori del Caos. Con giusto discreto patriottismo la scatola reca su un angolo il nostro vecchio nastrino tricolore.
Autori, Giovanni Maselli (con la A), Auro Miselli (con la I), Franco Tralli. Illustrazioni di Dino Marsan, Giuseppe Festino, Franco Tralli, Roberto Bonandimani. Hanno collaborato Roberto della Casa, Tiziano Incerti, Marcello Missiroli, Moreno Muzzarelli, Marco Saltarin, Guido Tremazzi. Elaborazione elettronica dei testi Maurizio Malagoli, Black Out Editrice (C.P. 501), 41100 Modena Centro. Prezzo al pubblico lire 36.000.
(…) Come riferivamo un anno fa, a Modena è stato organizzato il primo torneo italiano di Dungeons and Dragons, a Modena il Centro Rinascita (piazza Matteotti 20) è una capitale dei War Games e favorisce l'incontro di appassionati d'ogni genere di giochi nuovi e vecchi; ha organizzato un corso di origami e tiene costantemente lezioni per l'uso e la programmazione dei computers (a fini di Videogames e a fini profani, pratici o scientifici che dir vogliate).
Dunque il primo RPG italiano nasce a Modena perché a Modena si è preparato negli anni il terreno adatto. gli autori dei Signori del Caos sono molti, ma ancor più numerosi sono gli appassionati locali di RPG, e dunque I Signori del Caos non è il frutto isolato di fantasie sovreccitate ma il frutto di una pratica collettiva e organizzata di gioco e di sperimentazione.
Resta da vedere se la pianta degli RPG rigogliosa in Usa e in altre terre, avendo messo radici a Modena, potrà da Modena estendersi ad altre latitudini italiane così da giustificare quel segno sull'angolo, il nostro vecchio nastrino tricolore.
Per quanto riguarda invece Kata Kumbas:
Alla "città del Sole" di via Meravigli, negozio di "giochi per adulti", è stato presentato un nuovo gioco chiamato spiritosamente Katakumbas. Lo distribuisce la Berotoys, l'hanno inventato due italiani, Agostino Carocci e Massimo Senzacque (sic!), entrambi romani, trentenni, con studi di psicologia e di informatica alle spalle. Carocci vive a Milano, occupandosi di elettronica alla Olivetti.
Questo nuovo Katakumbas, quante persone lo giocheranno? «Duemila», risponde l'inventore Carocci. «Questi giochi nuovi hanno per ora in Italia un pubblico ristretto, ma in espansione. Dal 28 settembre prossimo si terrà a Verona, a Palazzo della Guardia, il primo grande convegno o campionato italiano; ci sono 200 iscrizioni di appassionati che arriveranno anche dalla Sicilia».
Questi nuovi giochi parlano di gnomi, folletti, elfi, coboldi e di creature sotterranee. Anche i 200 o 2000 appassionati di cui parla sono una forza sotterranea misteriosa, personaggi da Tolkien o da "Guerre Stellari"?
«Perché no? Il gusto per la fantasia e per la magia sta prendendo terreno in tutto il mondo. Il gioco che abbiamo inventato noi è nuovo perché per la prima volta chiama in causa il patrimonio delle leggende folkloristiche italiane. Per esempio dei "plitidi", larve malefiche delle miniere abbandonate, si è favoleggiato per secoli su tutto l'Appennino».
Questi giochi hanno a che fare con la psicanalisi?
«Possono apparentarsi agli psicodrammi; certi psicologi junghiani di Roma li adoperano, li considerano non "giochi di ruolo", bensì "di proiezione". Ma preferisco non parlare di queste utilizzazioni cliniche o sperimentali. Noi con questi giochi ci divertiamo».
Riuscirebbe a spiegare il succo di questi giochi in dieci parole?
«Neanche se mi dà un'intera pagina di giornale. Come farebbe lei a spiegare lo scopone a chi non ha neanche visto un mazzo di carte?»
Lei dice che questi nuovi giochi sono in espansione. Saranno i giochi del futuro?
«Il futuro è del computer, ma stiamo già studiando l'utilizzazione del computer anche per questi nuovi giochi. Però il grosso del nostro lavoro sta nella linea di questo Katakumbas. Stiamo preparando un gioco ambientato a San Clemente a Roma, intitolato "Le ultime luci di Mitra". Al prossimo convegno di Verona presenteremo un gioco ambientato a Verona, con leggende di streghe che usavano il "Libro del comando": un messale, un libro di preghiere che, se letto all'incontrario, si trasformava in uno strumento di magia nera. Un divertimento impagabile».
Nel 1984 Dossena era alla fiera di Norimberga e aveva percepito in quella sede l’eco del crash americano di Atari:
(...) Fin dall'autunno scorso si erano avute d'oltreatlantico le prime avvisaglie di una grave crisi nel campo dei videogiochi. Oggi è in grave crisi la Atari, che ancora l'anno scorso sembrava un colosso intoccabile. Persino la Milton Bradley, che è una delle ditte americane più serie e intelligenti, ha preso un bagno con un videogioco Vectrex, che sembrava avere tutti i numeri, l'anno scorso, per diventare un classico.
Quindi sembravano farsi avanti “nuovi” tipi di giochi… Dossena in quell’occasione riuscì a intervistare sia il co-creatore di D&D Gary Gygax, sia André Moullin, presidente di TSR International:
(...) Va a finire che la notizia grossa riguarda un gioco che è sul mercato americano dal 1974; ha vissuto fino a ieri in sordina, nella cerchia di pochi cultori fanatici e oggi sembra stia per spiccare il balzo del grande successo internazionale. Si tratta di un gioco difficile da descrivere. Il suo titolo è Dungeons and Dragons, che si tradurrebbe Sotterranei (o "segrete") e Draghi. Correntemente lo si chiama D&D.
La novità strutturale, veramente rivoluzionaria, di D&D sta nel fatto che l'attrezzatura è ridotta al minimo, si fa appello quasi solo alla fantasia dei giocatori e del capo-gioco; anzi D&D si definisce "gioco di ruolo" perché quel che conta è il "ruolo" che il giocatore sceglie di assumere, il "ruolo" con cui si identifica estroversamente.
«Qualunque sia la cultura e la situazione economica dei vari Paesi, questo gioco funziona coinvolgendo milioni di persone», ci dice André G. Moullin, presidente della TSR (Tactical Studies Rules), la società che controlla i diritti di D&D in tutto il mondo. Questo signor Moullin da mesi sta girando il mondo a far contratti e ramazzare miliardi.
«D&D attira l'attenzione degli psicologi, dei pedagogisti, dei ministeri dell'Istruzione, dappertutto, anche nella Repubblica popolare cinese», dice sempre André G. Moullin, «perché sviluppa la personalità, l'immaginazione, la comunicazione, la socializzazione e insegna a prendere le decisioni buone o cattive, inevitabili, in cui consiste la vita, ogni momento della vita.»
La novità più evidente di D&D sta nell'ambiente che suggerisce, negli scenari molteplici e combinatori in cui si svolge. Come il Gioco dell'oca suggerisce l'idea di una corsa su una spirale di vita e di morte (col Pozzo, la Prigione, l'Osteria, il Ponte e la Morte in persona), D&D suggerisce l'idea di un viaggio da cavalieri erranti in un bosco ariostesco, una serie di duelli, prove, giudizi di Dio, ordalie in un mondo di volta in volta nebbioso e nemico, favoloso e favorevole, popolato di presenze buone e cattive, vive e "non morte", di eroi e di mostri. Siamo nei confini di quella che romanzescamente e cinematograficamente si chiama fantasy.
Per la prima volta quest'anno è venuto a Norimberga l'inventore di D&D. Si chiama Gary Gygax. Sembra un nome da fantasy ma è autentico. Il padre di Gary emigrò a New York dalla Svizzera tedesca negli Anni 30. Il nome del padre salta fuori più volte, parlando con Gary Gygax. Il padre gli regalò una scatola di scacchi per il settimo compleanno. Il padre gli raccontava fiabe tedesche e storie di cavalieri della Tavola Rotonda...
Gary Gygax ha letto molto, sa di mitologia greco-romana e nordica, apprezza sinceramente Guerre Stellari di Lucas e i libri di Tolkien: «soprattutto lo Hobbit», ci dice, «il Signore degli Anelli vale di meno, non è una fiaba, è piuttosto un'allegoria...»
Ma chiediamo a Gary Gygax, se la figura del padre è stata tanto importante per lei, pensa lei di essere stato similmente padre per i suoi figli? Gary Gygax sorride tutto, nella barba rossa, dietro gli occhiali cerchiati d'oro. Ha 45 anni, cinque figli, ha sempre trovato il tempo di raccontargli molte storie anche negli anni grami, quando decise di restare disoccupato per concentrarsi sulla sua invenzione, D&D, e per dar da mangiare ai cinque uccellini nel nido fabbricava sandali. Adesso una figlia è sposata, un figlio lavora con lui in California.
E oltre a raccontargli storie, li ha fatti giocare? «Ho sempre giocato con loro, ho inventato con loro D&D».
E adesso che D&D sembra sia arrivato alla boa del grande successo, Gary Gygax cosa fa? «Sono stanco di questa kermesse di Norimberga, della televisione, delle interviste. Voglio tornare a casa. Voglio leggere dei libri. Forse ne voglio scrivere uno. Magari un romanzo, magari una sceneggiatura per una serie televisiva. Già D&D è un progetto di libro. Già attorno al nucleo di D&D ho cominciato a pubblicare libri d'altri, libri di fantasy. Libri e giochi appartengono alla stessa matrice. Prima che un autore mi considero un editore».
Dossena aveva osservato i movimenti di Moullin anche al XXII Salone internazionale del giocattolo di Milano:
I "fantasy games", detti anche "giochi di ruolo", hanno in Italia per ora pochi cultori, ma sono cultori fanatici. Ai loro occhi, la vera grande notizia del 22° salone del giocattolo è che sembra sia stato visto nello stand della Mondadori Giochi il signor André Moullin, presidente della TSR, la ditta del Wisconsin che controlla i diritti internazionali di "Dungeons and Dragons" un gioco di ruolo ambientato fra draghi sotterranei. Se la notizia fosse confermata potrebbe avere un qualche peso, perché "Dungeons and Dragons" oggi forse è il gioco più famoso al mondo.
Ma durante la XXIII edizione dell’anno successivo le cose si fecero poi più chiare:
Passando a un'altra fascia d'età, dai 10 anni in su, la Editrice Giochi importa dall'America "Dungeons and Dragons", un gioco di ruolo, o gioco di proiezione, molto nuovo, molto difficile da spiegare: ma il successo che ha già avuto in tutto il mondo permette di scommettere che sarà il gioco del futuro.
E infatti è dell’ottobre 1985 su Tuttolibri l’annuncio ufficiale:
La Editrice Giochi distribuisce finalmente la edizione italiana di Dungeons and Dragons. Il nome è rimasto quello americano perché è ormai famoso in tutto il mondo, anche in Italia. Letteralmente lo si potrebbe tradurre con "Segrete e Draghi"; lo scenario prevalente è il sotterraneo tenebroso di una torre medievale.
Ne abbiamo più volte parlato su queste pagine e ora chi ne fosse stato incuriosito (ma non se la fosse sentita di affrontare la lettura delle lunghe istruzioni in inglese) potrà cavarsi la voglia di provare. Non sarà difficile trovare qualcuno che già sa giocarlo: si calcola che da una decina d'anni alcune migliaia di italiani siano stati già contagiati dal germe di Dungeons and Dragons.
Basterà ripetere, in pillole, che D&D è il capostipite di quei giochi di simulazione strategica, ambientati in un mondo alla Tolkien, che si chiamano "Fantasy Games", e che evolvendosi hanno subito una mutazione genetica: sono propriamente giochi di proiezione, o giochi di ruolo (interessanti ad esempio per psichiatri di scuola junghiana), e non sono più giochi da tavoliere. Qui il tavoliere è scomparso, e sono scomparse le regole: tutto è affidato alla fantasia del capogioco.
Si chiude quindi anche nei giornali mainstream un percorso che va a riunire gdr tradizionali e avventure su computer, grazie a quest’ultimo articolo di Maria Grazia Bruzzone:
Cala in Italia la nuova generazione di giochi elettronici, quella dei giochi d'avventura. Arrivano dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra, non hanno per ora traduzione e l'impegno che richiedono non è uno scherzo. Eppure il loro successo cresce fra gli adolescenti computerizzati. A Londra sono in testa alle classifiche e l'ultimo uscito, Eureka, ha in palio un premio di venticinquemila sterline.
Gli "Adventure Games" hanno poco a che vedere con i video-giochi da bar o con i loro meno spettacolari cugini domestici, niente duelli spaziali né inseguimenti alla Pac-Man ma mondi immaginari da esplorare, storie in cui il giocatore può calarsi, trame in cui può intervenire con l'aiuto del computer. Nessun pulsante da schiacciare compulsivamente ma una ricerca da compiere, come in ogni avventura che si rispetti, con prove da superare e nemici da abbattere. Labirinti da percorrere di nodo in nodo fino al santo Graal, al tesoro nascosto, alla chiave che libererà la fanciulla prigioniera.
Quello degli "Adventures" è spesso un universo medievale popolato di maghi, gnomi e draghi. Il richiamo a Tolkien è esplicito. Capostipite riconosciuto è Dungeons and Dragons (Segrete e Draghi), il primo, inimitabile gioco di ruolo dove i giocatori non si limitano a combattere secondo delle regole ma impersonano ciascuno un personaggio, gettando un dado per determinarne le caratteristiche come il livello di carisma, la destrezza, l'abilità nella magia. Qualità che verranno messe alla prova durante il gioco, sotto la guida del maestro, il dio degli eventi cui spetta la regia di una storia ogni volta diversa. D & D o Dungeons and Dragons è un gioco in scatola dove regole, percorsi e descrizioni possono occupare un intero libro, e la scelta ultima della trama è lasciata all'invenzione dei giocatori.
Limitati dalla memoria elettronica, gli "Adventures" non sono per ora altrettanto raffinati. Ogni giocatore rappresenta soltanto sé stesso e dialoga mediante video e tastiera con la guida impersonata dal computer. A ogni mossa un nuovo messaggio appare sullo schermo e dice al giocatore dove si trova e quali oggetti o esseri può vedere. A ogni incrocio chi gioca deve a sua volta mandare un messaggio dicendo cosa vuole fare. Si possono scegliere direzioni, raccogliere cose, lasciarle, aprire e chiudere porte, uccidere, chiedere, fuggire. Al tesoro dopo mesi di gioco, tentativi di mappe, combattimenti, arrivano in pochi. I più vengono bloccati o si perdono per strada.
Il fascino dell'Adventure sta proprio nel dominio di questa complessità astratta eppure più reale della realtà, perché governata da regole. Se il labirinto è l'archetipo dello spirito che ricerca, i giochi di avventura sono visti da alcuni come metafore del funzionamento del computer, finestre aperte sull'esperienza del programmare, quando il sistema è così complesso da diventare un mondo dove si può vivere. E questa è l'esperienza degli "hackers", quei "virtuosi della programmazione" che non esitano a scassinare i grandi elaboratori, eludendo sofisticate protezioni per il semplice gusto della sfida.
Non è un caso che negli Stati Uniti Dungeons and Dragons e gli stessi Adventures siano diventati popolari fra virtuosi e maniaci della programmazione prima che fra giovani e adolescenti. Di Dungeons, apparso dieci anni fa, esistono oggi cinque manuali di mostri, mappe, eroi, divinità, trame possibili, ai quali si aggiungono riviste specializzate e club di appassionati.
Eppure in Italia viene tradotto soltanto ora, dalla casa Editrice Giochi. Capita così che il suo arrivo coincida con quello degli Adventures elettronici, con il loro timido ma significativo successo. E forse non è un caso.
Tutto questo per fornire un background completo di concetti e informazioni, utile a me e voi per comprendere l’ambiente (molto probabilmente emiliano) nel quale si è mosso Alessandro Castellari per concepire la sua prima “Avventura” tra il 1983 e il 1984, della quale fornisco per ora la copertina della versione commerciale, con istruzioni complete.
Con questa immagine del tutto inedita termina anche il ventinovesimo numero (vol. 3, n. 5) della newsletter, inviato a 314 (+5) persone. La mia speranza, lo dico sempre, è quella di creare un ambiente rilassato, serio e piacevole per condividere con voi idee e approfondimenti sui temi legati alla nascita e l’evoluzione dei videogiochi; ancora di più, mi preme costruire un ecosistema autosufficiente capace di sfuggire ai social network e ai loro ritmi. Se conoscete qualcuno interessato alla storia dei videogiochi e dei computer segnalategli quindi Quattro Bit, che può crescere solo grazie al passaparola.
A presto (se le stelle e i pianeti saranno correttamente allineati, il 21 dicembre)!
D&D non l'ho mai affrontato realmente :-D
Quale versione per retroconsole/pc è quella riuscita meglio ?
Il serpentone viene dalla copertina di Relayer degli Yes