Il mio benvenuto al secondo numero della newsletter di Quattro Bit: si sono aggiunte cinque persone rispetto alla settimana scorsa, grazie quindi per la fiducia.
Nella vecchia incarnazione di questo mio lavoro riguardante la storia del videogioco, mi sono sempre battuto per affermare l'importanza di alcuni temi considerati in generale secondari, rispetto alla definizione standard dei "fatti" storici e la sequenza cronologica nella quale questi sono avvenuti.
Ho ritenuto da sempre fondamentale, per esempio, poter descrivere correttamente (cioè, senza il filtro del ricordo e della memoria) gli ambienti sociali e fisici in cui l'informatica personale si è sviluppata, partendo dai negozi più o meno specializzati nella vendita di hardware e software, per arrivare alle sale giochi e ai bar per quanto riguarda il settore più prettamente videoludico.
In questo senso, si compie spesso l'errore di trovare una progressione senza alcuna soluzione di continuità di abitudini, gesti, scelte e rituali; di pensare cioè alla storia del videogioco come un fatto unico, legato all'evoluzione del singolo videogiocatore e le sue scelte, quando in realtà ci sono stati diversi "salti" tecnologici e sociali, che si colgono solo prescindendo dalle sensazioni personali.
Tra tutti, il passaggio dal gioco su console a quello su home computer durante gli anni Ottanta, senza poi considerare l'evoluzione altrettanto traumatica tra una visione prettamente bidimensionale della realtà simulata e i mondi ludici in 3D, circa a metà anni Novanta.
Nello stesso modo, penso sia interessante anche poter definire come e quando certe idee e certi termini si siano effettivamente diffusi sul nostro territorio, quando cioè per esempio si è iniziato a usare correntemente il termine videogioco, superando il concetto di gioco elettronico o gioco tv, o quando l'informatica personale è divenuta davvero di massa, con gli home computer venduti a decine di migliaia di esemplari ogni anno. Oppure ancora, estendendo lo sguardo più indietro nel tempo, osservare il periodo in cui i concetti di calcolatore elettronico e di robot erano effettivamente entrati nell'immaginario popolare italiano.
Mi trovo comunque sempre in difficoltà a definire il lavoro che sto facendo, riguardo questi temi: per esempio, tendo a non volermi appropriare di titoli che sembrano scimmiottare quelli accademici (tipo "storico di...") perché temo possano sempre essere male interpretati dal prossimo. Se devo dirla tutta, amo in particolare il termine "paleofuturista" (mutuato dall'inglese) perché, oltre a trattare l'argomento storico in sé, spesso ci dedichiamo ad analizzare il sentire comune e l'immaginario sociale degli anni passati, da confrontarsi poi con l'effettiva evoluzione tecnologica, alle attese ripagate e alle previsioni invece completamente errate.
Per fare questo ho sempre pensato fosse utile ricorrere anche a esperienze visive concrete, sia che si trattasse di immagini o, meglio ancora, di filmati d'epoca: negli anni di Blogspot avevo chiamato questa sezione Iconografie, sezione che riprendo adesso andando a descrivere un ciclo di trasmissioni Rai del 1981, dedicato all'analisi di quello che era allora il futuro prossimo; il traguardo definitivo era posto simbolicamente sull'anno 2000, quello che per molti futuristi rappresentava allora l'orizzonte estremo di analisi.
Che lo si vedesse in modo positivo oppure catastrofico, anche allora il progresso poneva di fronte ad alcuni interrogativi, che echeggiano più o meno tutti nei vari temi affrontati dalla serie Verso il 2000, curata da un gruppo di lavoro coordinato da Vittorio De Luca e andata in onda tra il maggio e il luglio del 1981: i temi spaziavano dall'evoluzione della medicina al riscaldamento globale, dall'esaurimento delle fonti energetiche alla crescita della popolazione; tutte questioni che sono sicuramente familiari anche agli uomini del 2022.
Ma sono due le puntate della serie a essere particolarmente interessanti per i nostri scopi: una dedicata alla robotica, andata in onda il 29 maggio, una all'informatica il 26 giugno. Mentre "Vivere con il calcolatore" non è al momento reperibile, "L'impero dei robot" è stata digitalizzata da quello che ritengo uno dei migliori canali YouTube dedicati alla tv del passato, cioè I Magnetici Anni.
Il mio invito è quindi a guardare integralmente questo prezioso reperto storico e, se volete, scrivere un vostro commento alla fine. Dal canto mio, vi segnalo in particolare due momenti che ritengo particolarmente importanti.
Il primo è senz'altro la presenza del commento dell'Ingegner Luigi Dadda, uno dei più importanti informatici italiani, al tempo rettore del Politecnico di Milano (purtroppo presentato col cognome sbagliato).
Tra i discorsi più rilevanti è da notare la differenza, secondo Dadda, tra il robot e le macchine (utensili) tradizionali:
Il robot interviene come una macchina di nuova concezione: il robot come si sa non è una macchina puramente meccanica, è una macchina la cui componente, usiamo dire di intelligenza artificiale, cioè di informatica, di calcolatori, è molto forte.
e ancora, quando affermava che:
L'asintoto verso cui tende la nostra società è una situazione in cui le forze adibite alle produzione di beni si ridurranno intorno al 10-15% della popolazione attiva.
Nel lungo filmato vi è anche la presenza del sintetizzatore vocale MUSA progettato dallo CSELT di Torino, che tra le altre cose esegue una parte del Fra Martino Campanaro che lo rese famoso nel 1978, con la pubblicazione del disco "La voce del calcolatore".
Non stupisce che all'inizio di questo speciale sulla robotica ci siano i due droidi di Guerre Stellari che, più di ogni altro robot, colpirono l'immaginario popolare alla fine degli anni Settanta. Su questo tema ho scritto diversi anni fa un saggio piuttosto approfondito a cui rimando i più curiosi: tra l'altro, in quella sede, racconto di quando C3PO e R2D2 dovevano presenziare alla conferenza stampa a Roma il 3 ottobre 1977, ma furono purtroppo trattenuti in dogana a Fiumicino probabilmente perché nessuno aveva capito cosa fossero realmente.
Il consueto dibattito tra apocalittici e integrati veniva ribadito con forza proprio nei confronti dell'avvento della robotica, perché si temeva (soprattutto dal punto di vista ideologico) che l'automazione portasse inevitabilmente alla scomparsa progressiva dei posti di lavoro. A questo proposito, per concludere questa seconda chiacchierata, vorrei proporvi una riflessione (in chiave paleofuturista) che parte da un frammento da Guareschi, scrittore che sicuramente tutti ricorderete per Don Camillo.
Ma già nel 1941 immaginava questo:
Io ho trovato un paese dove le macchine hanno preso il posto degli uomini. È un paese dove, fin dal 1200 avanti Cristo, si conoscevano già la macchina calcolatrice e la radio. Poco alla volta si trovò una macchina per fare tutto, anche per giudicare un colpevole o per scrivere un romanzo d'avventure. (...) Si trovò una macchina per fare ogni cosa, e, di anno in anno, si perfezionarono dette macchine, le si collegarono fino a creare un tutto mirabile fatto di fili, di braccia articolate, di cellule fotoelettriche, di onde, di campi magnetici. E l'uomo si trovò un giorno prigioniero del suo capolavoro. (...) L'uomo è sorvegliato continuamente da invisibili raggi che registrano ogni suo gesto, che controllano perfettamente il funzionamento del suo organismo. Ogni stanza, ogni strada è un insieme di bracci articolati, di tentacoli metallici, di traguardi fotoelettrici.
Suggestivo, vero? Si anticipano i concetti di rete di calcolatori, la sorveglianza massiva, la domotica e il Fitbit... E persino Minority Report.
Il secondo numero della newsletter si chiude qui ed è stato inviato a 70 (+5) persone. La speranza è quella di raggiungere la "cifra tonda" il prima possibile, spargete la voce! A presto.
Prezioso come sempre. In quella ountata di “Verso il 2000” ci sono molti progenitori di prodotti che da lì a pochi anni avrebbero incrociato le nostre vite. MUSA, col tempo, divenne parte di DIALOGOS (la voce uffiiciale dei risponditori automatici delle Ferrovie dello Stato e del servizio “12” della fu SIP). Una delle sue filiazioni fu usata anche il mio amico Gianluca Nicoletti per la voce del Golem nel programma radiofonico omonimo.
Fa anche abbastanza impressione vedere il livello raggiunto dai robot quadrupedi i quali, al di là dell’essere vincolati a cavi, non sembrano i nonni di quelli della Boston Robotics quanto più i fratelli maggiori.
Gli aspetti più sociali e, forse, filosofici sul destino dei lavoratori di linea sono molto ampi. Io stesso fino a pochi anni fa, seduto al tavolo di lavoro che definiva l’allocazione dei finanziamenti Horizon 2020 per i media, ero un convinto profeta di una riduzione del lavoro manuale compensata da una incentivata ed economicamente sostenuta libertà di cultura. Immaginavo, come soluzione a un problema non più prospettico ma attuale, un futuro nel quale ogni robot immesso in linea comportasse una sorta robot tax a favore dell’Uomo, una sorta di “stipendio” indiretto per permettere alla più ampia parte dei lavoratori di proseguire gli studi, di concentrarsi sul sapere e sulla conoscenza, sulla ricerca di base e applicata. Mi sono dovuto ricredere perché la società è guidata da pochi e, ahimé, ha tendenze solipsistiche e ambizioni di piccolo cabotaggio.