Sta per iniziare il venticinquesimo numero (vol. 3, n. 1) di Quattro Bit, la newsletter che si occupa di ricostruire, frammento dopo frammento, la storia dei videogiochi in Italia. In questa occasione rifletteremo su certe informazioni erronee riguardanti il cosiddetto “video game crash” del 1983, alla luce di una ricerca di mercato pubblicata in quel periodo.
L’ho ripetuto spesso in passato, ma penso sia utile ribadire nuovamente un concetto fondamentale, dato che siamo all’inizio di una nuova stagione della newsletter e molte persone nuove si sono aggiunte: in un mondo ancora non del tutto globalizzato, com’era quello dei primi anni Ottanta, i videogiochi hanno avuto una diffusione completamente diversa da paese a paese; quindi, non ha alcun senso usare le informazioni e le storie narrate dagli americani (da Wikipedia a scendere) per descrivere la situazione italiana.
Non capisco se, in generale, le questioni storiche riguardanti fallimenti tecnologici, aziende crollate in borsa, gente sul lastrico, imperi caduti e altre “amenità” simili abbiano un particolare fascino su chi le legge e le commenta; non riuscirei a spiegare altrimenti il successo delle narrazioni sul “video game crash” statunitense anche da noi.
In questa ottica estremamente semplificata, sembra quasi che nel 1983 da un giorno all’altro intere filiere implodano improvvisamente persino in Europa, che la gente smetta di giocare, che le console vengano gettate dalle finestre, assieme a sacrifici umani, cani e gatti che vivono insieme e masse isteriche.
Sappiamo però che non è così, che i problemi finanziari non riguardavano l’intera “industria del videogioco” ma la principale azienda del settore, cioè Atari. Sappiamo peraltro che le filiali europee di Atari (come la “nostra” Atari International Italy) nello stesso periodo andavano piuttosto bene, e solo le disavventure della casa madre hanno impedito loro di sopravvivere.
Di questo argomento specifico abbiamo parlato l’anno scorso, inserisco un link qua sotto per chi se lo fosse perso; stavolta faremo un ulteriore passo in avanti, estendendo l’analisi all’intero settore videoludico europeo, mostrando un po’ di cifre.
I dati in questione provengono da una ricerca effettuata da una società di consulenza, la Intelligent Electronics Europe, poi confluita nella Dataquest alla fine degli anni Ottanta. Questa analisi venne commissionata nel 1983 da Vidcom, la più importante manifestazione francese legata alle tecnologie video, che proprio in quell’anno organizzava a Cannes, accanto all’evento principale (l’ottavo), il primo Marché International des Jeux vidéo, de l’Informatique Individuelle et Domestique, per gli “amici”, MIJID.
Svoltosi tra il 3 e 7 ottobre 1983, si può notare come già nel nome vennero individuate le due direttrici principali che caratterizzavano l’informatica a scopo ricreativo, cioè i videogiochi su console e su home (e personal) computer. L’analisi di mercato andava a stabilire proprio come il mondo dell’home computing stava soppiantando quello delle console anche per quanto riguarda il tempo libero, e come questo stesse avvenendo in Europa senza alcuna soluzione di continuità (e traumi) rispetto al mondo statunitense.
Facevamo notare qualche anno fa di come il fenomeno console, in Italia, fosse stato estremamente concentrato nel tempo, e quindi si leggevano commenti dagli addetti ai lavori quali: «attualmente molti di coloro che vorrebbero un videogioco si orienteranno verso l'home computer, e si può dire che in Italia abbiamo avuto la fortuna di saltare in buona parte il fenomeno del videogioco puro» e ancora che «la rapidità dei fenomeni americani questa volta può servire di lezione sia a noi sia alla gente: in Italia si sta passando quasi direttamente dall'arcade game (il videogioco da bar) al computer di casa».
Nel report della I.E.E. si leggono cose analoghe:
Nella maggior parte dei paesi europei il mercato dei videogiochi sta cominciando ora; quindi, gli effetti del cambiamento che sta avvenendo a livello mondiale saranno subito evidenti. Mentre negli USA e anche in Inghilterra il boom dei videogiochi è durato due o tre anni prima dell’avvento degli home computer, il cambiamento negli altri paesi europei sarà più rapido.
Inoltre:
Anche tenendo conto del declino nel mercato mondiale dei videogiochi, i paesi sud-europei, come ad esempio la Spagna e l’Italia, dovrebbero mostrare un incremento rispetto al 1982.
Questi concetti vengono chiariti ancora meglio osservando i dati pubblicati, che si riferiscono alle analisi dei due mercati internazionali, USA ed Europa.
Leggendo le cifre, si vedono tutti i fenomeni descritti qualitativamente da moltissimi articoli pubblicati in quel periodo: si nota il calo nelle vendite delle console su territorio americano (da 7,9 milioni a 5,6 milioni di pezzi, nell’intervallo 82-83) contrapposto a un leggero incremento in Europa (da 1,5 a 1,6 milioni). Il mercato delle cartucce “teneva” negli USA ed esplodeva in Europa (si passava da 9 a 15 milioni). Nessuna crisi in vista, quindi.
Per quanto riguarda invece il mercato degli home computer, è da sottolineare la vera e propria esplosione negli USA (da 2,8 milioni a 6) e, di riflesso, un raddoppio anche da “noi” (da 800 mila a 1,6 milioni di pezzi). Altra tendenza comune, l’abbassamento costante dei prezzi, evidente in territorio americano, più graduale in Europa.
Altro confronto utile, il “sorpasso” che stava avvenendo tra i due mercati: come si può notare, nelle previsioni del 1983 i computer venduti tendono a essere maggiori delle console, in entrambi i territori.
Anche se valutiamo le cifre in gioco, se si guarda ai totali di hardware più software, il mercato internazionale nel 1981 valeva $1.511.000.000 ($1.201.000.000 console e $310.000.000 computer) mentre nel 1983 si passa a un pesante valore di $3.205.000.000, dove si ha invece la sostanziale equivalenza tra console ($1.681.000.000) e computer ($1.524.000.000). Vediamo quindi il riflesso della crisi di Atari, ma anche un mercato videoludico che globalmente si evolve in senso positivo.
Possono essere fatte molte altre considerazioni sulle cifre mostrate, e lo spazio per i commenti è l’ideale per discuterne, se volete: ciò che mi preme sottolineare comunque è che siamo fortunati, una volta tanto, a parlare basandoci su dati quantitativi piuttosto che limitarsi a considerazioni basate su impressioni, tendenze e mere supposizioni.
Per chiudere in leggerezza, se volete “respirare l’aria” di quella prima edizione del MIJID, vi consiglio di vedere questo breve servizio giornalistico di Antenne 2, archiviato da INA e visibile sul loro sito al link indicato.
Per evitare che la “dose” di numeri risulti eccessiva, si conclude così il venticinquesimo numero (vol. 3, n. 1) della newsletter, inviato a 289 persone. La mia speranza, lo dico sempre, è quella di creare un ambiente rilassato, serio e piacevole per condividere con voi idee e approfondimenti sui temi legati alla nascita e l’evoluzione dei videogiochi; ancora di più, mi preme costruire un ecosistema autosufficiente capace di sfuggire ai social network e ai loro ritmi. Se conoscete qualcuno interessato alla storia dei videogiochi e dei computer segnalategli quindi Quattro Bit, che può crescere solo grazie al passaparola. A presto (se le stelle e i pianeti saranno correttamente allineati, il 26 ottobre)!
Grazie Andrea per questa analisi molto interessante supportata da dati e frutto di un attento lavoro di ricerca. La consiglierò agli studenti del mio corso quando gli parlerò della storia dei videogiochi.
Il tuo articolo e' la prova. che prima di parlare, o meglio, di scrivere ci si dovrebbe informare... Certo scavare nel passato e raccogliere dati ed informazioni, verificare ed analizzare costa fatica e presuppone l'utilizzo del proprio intelletto... merce rara al giorno d' oggi... bravo Andrea!!!