La preservazione digitale... Quando diventeremo preistoria
Volume 2, Numero 10: Rassegna stampa
State per iniziare a leggere il decimo numero della seconda stagione di Quattro Bit. In questa occasione cercheremo di riflettere sull’essenza della preservazione digitale dei videogiochi, alla luce di un… Articolo umoristico dei primi anni Sessanta.
A volte infatti è opportuno porsi anche domande apparentemente banali, per esempio: Cos’è un videogioco? E, soprattutto, cos’è adesso, e cosa rappresentava invece negli anni Ottanta?
Davvero, insisto, che cos’è un videogioco? È l’hardware su cui “gira” un certo programma, scritto in qualche linguaggio? È invece appunto il software, cioè l’insieme delle istruzioni sequenziali che generano le immagini in movimento e i suoni sul video? O, piuttosto, è solo il momento in cui viene eseguito il software sull’hardware, controllato dalle scelte del giocatore?
Alla luce di ciò quale importanza devono rivestire, nell’ottica della preservazione digitale, i progettisti originali, le software house, i singoli autori? E l’esperienza del giocatore deve essere messa sullo stesso piano oppure no?
La natura fondamentalmente sfuggente e per certi versi proteiforme del videogioco si evidenziava già in quella che è forse la prima definizione “ufficiale” del termine, cioè la pubblicazione dell’undicesima edizione del vocabolario Zingarelli, uscita nel 1983. L’azienda Zanichelli sfruttò il fatto anche dal punto di vista pubblicitario, segno della consapevolezza con cui ci si riferiva a una vera e propria parola chiave, caratterizzante il decennio allora in corso.
videogiòco [comp. da video- e gioco] Apparecchio elettronico che permette a uno o più giocatori di simulare, mediante vari tipi di comandi, sullo schermo di un televisore ordinario a cui viene collegato o su quello di un monitor che ne fa parte integrante, vari giochi, gener. sportivi, o ideati appositamente | Il gioco stesso. SIN. videogame.
Come si nota, per Zingarelli “videogioco” è quindi contemporaneamente sia l’apparecchio elettronico sia il gioco che ci “gira sopra”. Diventa difficile dunque spiegare queste dinamiche a distanza ormai di interi decenni, soprattutto se si analizza il gioco su home computer, in cui cioè la fruizione era legata a un certo numero di comandi e interfacce e non alla mera introduzione di una cartuccia plug-in.
A questo aggiungiamo l’ipotesi secondo la quale il fenomeno dell’home computing precedente al dominio Dos-Windows viene considerata a posteriori una parentesi sempre più dimenticata dalle recenti analisi storiche.
Se quindi ci limitiamo a pensare all’aspetto videoludico legato al meccanismo solido, si rischia (a causa dei limiti intrinseci della durata dei materiali) di non comprendere più il suo uso effettivo, e di conseguenza perderne memoria.
Un tema, questo, che ha affascinato moltissimi commentatori e scrittori nel corso degli anni, sia nella fantascienza che in molti altri contesti. Per quanto riguarda la fantascienza, mi viene subito in mente il noto esempio del racconto Lezione di storia (History lesson) di Arthur C. Clarke, pubblicato nel 1949 e ristampato innumerevoli volte anche in Italia, in cui i Venusiani cercano di scoprire come fosse fatta la (ormai scomparsa) civiltà terrestre attraverso l’osservazione di un…
No, non voglio fare spoiler, se non segnalare che per un curioso caso del destino proprio questo racconto fu presentato in uno dei primi numeri della rivista PEEK, di cui abbiamo già parlato in passato.
Visto che ho sempre cercato di favorire una “via italiana” alla comprensione della storia, non citerò Clarke ma piuttosto Carlo (Carletto) Manzoni, un illustre appartenente alla nobile schiatta dei grandi umoristi italiani, personaggi che una volta caratterizzavano l’ambiente culturale del nostro Paese.
L’anno scorso avevo citato uno scritto profetico di Guareschi, in cui già nel 1941 pensava a una macchina capace di «scrivere un romanzo d'avventure», anticipando di qualche decennio i Large Language Models che sembrano essere la moda imperante di queso periodo.
Facendo un salto di vent’anni e continuando il discorso sul “paleofuturismo” all’italiana passiamo invece alle visioni di Manzoni, che forse qualcuno ricorderà per i racconti surreali sul Signor Veneranda, frequenti e graditi ospiti delle vecchie antologie della scuola dell’obbligo.
Manzoni, in questo scritto del ‘61, coglie pienamente lo spirito del tempo e anzi sembra suggerire certe tendenze accelerazioniste, in cui si sente quasi l’eco di Hartmut Rosa. Riflettiamo quindi sul sorriso sulle labbra a cosa accadrà agli storici del futuro i quali, oltre a chiedersi a cosa servisse un macinino da caffè, si interrogheranno su cosa volessero dire enigmatiche scritte come: SYS 64738 o LOAD”$”,8.
Quando diventeremo preistoria
La terra invecchia. Accidenti se invecchia. Ogni giorno che passa, passano centinaia di anni. Più andiamo avanti e più il tempo passa in fretta. Una volta gli anni passavano con una lentezza impressionante. Si impiegava un secolo per inventare un meccanismo qualsiasi. Una stupidaggine da niente che oggi fa ridere.
Guardiamo la macchina a vapore. Quanto c'è voluto per inventarla, e adesso che ce ne facciamo? La mettiamo in un museo e ogni tanto andiamo a darci un'occhiata, così per divertimento e non per altro. Per vedere come una volta l'uomo si accontentava di camminare. Per riderci sopra, in fondo. Tutte queste macchine ci fanno ridere.
L'aerostato, ingombrante e pericoloso, i primi aeroplani di legno e tela, perfino il velocipede. Tutta roba che l'uomo ha inventato, ha impiegato anni per inventare e poi ha messo da parte.
Il tempo corre con velocità vertiginosa e non si fa più in tempo a voltarsi indietro a guardare perché bisogna sempre pensare al futuro. Ogni giorno si inventa una cosa nuova.
A un certo punto c'è talmente tanta roba alle nostre spalle, che non abbiamo più il tempo di cominciare dal principio. Voglio dire: i giovani, le scuole, gli studi. Da dove si comincia? Dalla creazione del mondo, dall'età della pietra? L'uomo discende dalla scimmia? E la scimmia da chi discende? Poi piano piano tutto il resto, secolo per secolo. Ma scherziamo? Così non si finisce più, non c'è più tempo per tutte le cose nuove più urgenti.
Bisogna dare tutto per acquisito, oramai. Lasciamo perdere l'uomo che discende dalla scimmia, che inventa il rasoio, le bottiglie, le scarpe, il cappello, e si civilizza pian piano. Che inventa lo sbuffo di vapore, la ruota che gira, l'interruttore della luce elettrica, la voce che corre nel filo.
Non si fa più in tempo a insegnare tutte queste cose, oramai, diventa sempre più inutile imparare come si è arrivati a inventare il motore dell'automobile: c'è e basta. Il resto non conta più.
Non occorrono più tanti secoli oramai, perché il resto venga completamente dimenticato. Già quasi ci siamo. Già da parecchio tempo i bambini si sono abituati al telefono. Non lo guardano più come un oggetto strano e misterioso. Appena riescono a balbettare afferrano il microfono come la cosa più naturale del mondo e ascoltano le parole nel ricevitore senza nessuna meraviglia.
Il telefono, la radio, la televisione, l'automobile, l'aeroplano, non sono più cose meravigliose, ma appartengono alla normalità, anche se parecchie di queste si pagano a rate.
Così non si può più cominciare dal principio a fare la storia di tutto. Bisogna stabilire un punto nella storia dell'uomo e cominciare da lì. E, dove lo mettiamo il punto?
Lo mettiamo nel periodo in cui l'uomo comincia a viaggiare nello spazio, io dico. Quello che viene prima non ha più nessuna importanza.
Ancora adesso ci domandiamo se l'uomo discende dalla scimmia e come ha fatto a trasformarsi. Come ha fatto a perdere la coda, a mettere i piedi al posto delle mani inferiori, a modificare la forma delle orecchie e del cranio eccetera eccetera. Ancora adesso ce lo domandiamo e non siamo ancora riusciti a scoprirlo, ma è giunto il momento di smetterla di domandarselo.
E scommettiamo che fra un paio di migliaia di anni, e forse meno, l'uomo di allora si domanderà se è nato da un cervello elettronico o da una centrale nucleare o da qualche altra diavoleria?
E la possibilità di parlare a distanza, di trasmettere le parole da un pianeta all'altro non sarà che un fatto logico e perfettamente naturale come quello, oggi, di discorrere con la moglie da un lato all'altro della tavola da pranzo. O se se lo domanderà, non riuscirà più a scoprirlo, come non siamo riusciti a scoprire che discendiamo dalla scimmia.
Adesso non sappiamo di quali faccende si occuperà l'uomo del futuro. Non possiamo sapere come organizzerà la sua esistenza, quali saranno i suoi ideali. Certamente sarà molto diverso dall'uomo di oggi, e avrà ideali completamente diversi, come siamo diversi noi dall'uomo preistorico.
Magari farà cose che oggi potremmo credere assurde e senza scopo, come quella, tanto per dire qualcosa, di avvolgere un filo intorno a Mercurio facendolo diventare un grosso gomitolo, oppure far cambiare orbita a un pianeta qualsiasi, o tagliare a fette sottili un satellite, o adattare l'anello di Saturno intorno a Giove. Chissà cosa diavolo gli verrà in mente di fare!
Comunque noi diventiamo preistoria. A pensarci bene, stiamo creando dei bei problemi per l'uomo futuro. Lo mettiamo un poco nei pasticci di fronti a delle scoperte strane e sconcertanti che lo lasceranno perplesso. Se gli verrà in mente di grattare su questo vecchio pianeta, troverà delle strane cose e si domanderà a che cosa servivano.
Se avrà tempo, naturalmente, di occuparsi del passato, dirà che nella preistoria esistevano esseri che vestivano con delle scatole di metallo e andavano a spasso su delle strisce asfaltate urtandosi l'uno con l'altro senza nessuna ragione particolare.
Magari qualche scienziato futuro perderà un mucchio di tempo a studiare un macinino da caffè, per scoprire a quale uso era destinato: se doveva essere considerato una macchina per trasmettere il pensiero, o una rudimentale calcolatrice. Magari ci scriverà sopra un trattato.
E qualche altro cercherà di scoprire a che cosa serviva la forchetta, che tipo di antenna doveva essere.
Bene, insomma, fra un paio di migliaia di anni ci faremo un sacco di risate.
Con questo tuffo nel passato (o meglio, nel “passato del futuro”) si conclude anche il ventiduesimo numero (vol. 2, n. 10) della newsletter, inviato a 228 (+9) persone. Qualcuno avrà notato che su Substack stanno avvenendo dei cambiamenti rilevanti, con l’introduzione di nuovi servizi e dinamiche. Per ora rimango indifferente a tutto questo, con la vaga sensazione che chat e note servano soltanto ad aumentare il rumore di fondo, anche se mi riservo il diritto di cambiare opinione in futuro. Proseguiamo quindi allegramente fino a giugno, sempre in questa forma bi-settimanale. A presto!
Sempre interessante e a volte spassoso leggere i tuoi pezzi. Questo stavolta ci apre una dimensione parallela o perlomeno ci invita ad alzare la testa e guardare tutto in una diversa prospettiva o POV, come si (ab)usa dire oggigiorno. Siamo spesso a capo chino a pedalare sulla nostra ruota di criceto, rinchiusi nella nostra gabbietta 2x3mt e difficilmente ci fermiamo a riflettere o a dare uno sguardo anche temporale oltre il nostro cubicolo abituale. Questo articolo ci riesce con la consueta intelligente semplicità che AP ci ha abituato ad apprezzare. TY
p.s. occhio a "Zanchelli" al posto di Zanichelli.
Che piacevole sorpresa questa rubrica. Grazie Andrea, non vedo l'ora di leggere il prossimo articolo. Nel frattempo mi rimetto in pari 🙂